Architettura penitenziaria
La storia dell'Architettura penitenziaria in Italia e nel mondo
“L’architetto deve ben bene persuadersi che l’arte sua deve farsi serva della disciplina e del sistema che si vuole introdurre; che deve sacrificare assolutamente ogni ornato, ogni fregio per semplice che sia, nella mira di ottenere un risparmio di spesa.
(monito ai progettisti contenuto nel Bando internazionale per la prigione di Alessandria pubblicato il 1° maggio 1839)”
I piccoli Stati italiani preunitari dispongono di una struttura patrimoniale delle carceri molto arretrata.
Gli edifici detentivi, in genere antichi conventi, fortezze e lazzaretti, sono ovunque in stato di degrado; le realizzazioni di nuovi stabilimenti penali, secondo l’adozione dei modelli d’internamento elaborati in Europa e negli Stati Uniti, variano da Stato a Stato, ma sono comunque episodiche.
Nel Regno di Sardegna si sperimenta l’esperienza del bando di concorso internazionale per gli istituti di Oneglia e Alessandria; in questa sala è esposto uno dei progetti presentati, ma non selezionato, al concorso alessandrino nel quale la vittoria dell’architetto francese Henry Labrouste con un progetto a unità radiale semplice segna un riavvicinamento ai Paesi più avanzati.
Nel Granducato di Toscana il sistema cellulare filadelfiano, sperimentato nella fortezza di Volterra, è riproposto nel carcere de Le Murate a Firenze (che sostituisce l’antico carcere comunale de Le Stinche), un ex-convento ristrutturato nel 1851 su progetto di Domenico Giraldi.
Nello Stato Pontificio, le Carceri Nuove in Roma, edificate tra il 1652 e il 1655 su progetto di Antonio Del Grande, e il carcere di San Michele, realizzato tra il 1701 e il 1704 su progetto di Carlo Fontana, precorrono il rinnovamento delle carceri moderne.
Nel Regno delle Due Sicilie di particolare interesse architettonico è il progetto e la realizzazione dell’Ergastolo di Santo Stefano, progettato tra il 1794 e il 1795 dall’ingegnere Francesco Carpi e dall’ingegnere militare e maggiore del Genio Antonio Winspeare. Realizzato con il lavoro dei detenuti, inaugura l’utilizzo delle isole a fini carcerari che nel tempo si andò consolidando col Bagno Penale a Ponza e l’Esilio a Ventotene. A partire dal 1817 Ventotene e il carcere di S. Stefano divennero l’uno il luogo di esilio e l’altro di carcerazione.
“Non si può dire che tumulto d’affetti sente il condannato prima di entrare: con che ansia dolorosa si sofferma e guarda i campi, il verde e le erbe e tutto il cielo e la natura che non potrà più rivedere. Nel giorno sempre aspetti e sempre speri: ma quando è chiusa la cella e alzato il ponte levatoio, più non aspetti e non speri, e ti senti venir meno la vita e tale stato delle cose non cambiò con l’avvento del Regno d’Italia… Ogni cella ha lo spazio di circa 16 palmi quadrati e vi stanno nove, dieci uomini e più in ciascuna. Sono scure e affumicate e di aspetto miserrimo e rozzo.”
(Ricordanze della mia vita, L. Settembrini, patriota e scrittore risorgimentale, rinchiuso a Santo Stefano dal 1851 al 1859)