Il carcere reale e quello virtuale, le vite nascoste dietro e fuori le sbarre
Venezia 76. Nel programma della Venice Virtual Reality l'unica opera italiana in concorso è «VR Free» di Milad Tangshir
VENEZIA. All’isola del Lazzaretto Vecchio di Venezia, dove si svolgono le proiezioni della Venice Virtual Reality per la 76° Mostra del cinema, l’unica opera italiana in concorso è VR Free di Milad Tangshir. Il giovane regista iraniano, torinese d’adozione, ha già firmato il corto Displaced (2015) dedicato ai rifugiati al confine tra Austria e Slovenia e debutterà presto con il suo primo lungometraggio documentario intitolato Star Stuff, girato in osservatori astronomici di tre continenti e prodotto da Davide Ferrario: tutte opere che esplorano i concetti di spazio, di confine e di sconfinamento. A sua volta, il cortometraggio di dieci minuti presentato a Venezia, è stato realizzato insieme ad alcuni detenuti della casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino, grazie a un progetto dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema.
IL TITOLO del film è un gioco di assonanze tra VR (virtual reality) e «we are» che con l’aggettivo «free» si può tradurre come «siamo liberi». Un gioco di parole tutt’altro che puramente ludico, che si rivela un’indicazione sulla maniera in cui la realtà virtuale è utilizzata come strumento per oltrepassare i confini tra dentro e fuori il penitenziario. Il corto sfrutta al massimo le potenzialità del mezzo con due diverse operazioni: da una parte, filmando alcuni momenti della vita quotidiana dei detenuti rende possibile a chi sta fuori guardare il mondo di chi sta dentro; dall’altra parte, filmando la vita fuori la porta dentro.
INNANZI tutto, il film osserva e presta orecchio al paesaggio visivo e sonoro in cui sono immersi i detenuti: le piccole celle con la radio o la tv accesa, i servizi poco distanti dalla branda su cui si riposa, i pasti, i colori delle pareti scrostate, le grate alle finestre, il rimbombo dei corridoi, il cortile in cemento dove sgranchirsi le gambe per una passeggiata avanti e indietro anche se il cielo è scuro. Talvolta le riprese in soggettiva ci immergono nello spazio carcerario in modo da farci mettere nei panni di chi in quel luogo ci vive, per esempio, nella sequenza della consegna dei pasti, girata dalla posizione di chi spinge il carrello delle vivande.
In VR Free c’è dunque la vita dietro le sbarre, senza pietismi o sensazione ma Tangshir ci propone poi alcune scene di quiete quotidiana fuori dal carcere: un pomeriggio assolato nel parco, una serata in discoteca, una partita di calcio allo stadio, sequenze in cui i detenuti stessi, tramite dei visori, si sono potuti immergere, vivendo virtualmente situazioni a loro ormai precluse e re-incontrando per mezzo di questo dispositivo anche i loro cari coinvolti dal regista nelle riprese in esterni. VR Free gioca qui sul punto di vista e sullo sguardo mostrandoci prima i reclusi che osservano il mondo in realtà virtuale e poi le scene di vita «fuori», così che la loro visione diventa la nostra e viceversa.
L’USO della realtà virtuale diventa dunque non solo la novità con cui esplorare le potenzialità del linguaggio cinematografico aumentato ma anche uno strumento d’incontro con vite altre, spesso celate dietro muri fisici o barriere simboliche.
* Fonte: IL MANIFESTO